La mia bambola del tempo libero
Sabrina Lettieri
ESPERIMENTO DI NARRAZIONE 1
IL RACCONTO
La mia bambola del tempo libero è un manufatto narrativo che probabilmente resterà in versione provvisoria. Perchè si ispirerà a me e ai miei momenti e rappresenterà i tanti punti ancora da unire. Buona lettura.
L’idea iniziale del mio esperimento di narrazione per la prima parte del modulo della Piccola Scuola partiva dal conflitto che vivo con la gestione del mio tempo.
Desideravo, quindi, cominciare innanzitutto da quella che poteva essere una possibile soluzione al conflitto: impormi di prendere in maniera deliberata del tempo per me, organizzando al meglio la realtà a me circostante, per raggiungere un posto del cuore di ispirazione, portando con me un quaderno, una penna ed una matita, e assistendo a quello che ne sarebbe potuto venire fuori.
La proposta è stata accolta con successo. In particolare, l’istante dopo averla esposta, un suggerimento ricevuto da Jepis ha anticipato una delle possibilità che si erano delineate nella mia mente (ovvero l’utilizzo dello smartphone per elaborare un video o registrare un audio), esprimendolo in una maniera che mi ha entusiasmato
molto. «Sabrina» ha detto «tu potresti non solo prenderti del tempo, tu potresti anche riprendere il tempo». E Moretti ha immaginato addirittura che io potessi fare una lunga ripresa, magari anche di un’ora, in cui gli spettatori si sarebbero aspettati un cambio di scena ed una svolta da un momento all’altro, svolta che non sarebbe arrivata mai, perchè in quel momento era il desiderio di staticità il sentimento da portare in “pellicola”.
Tutto questo mi ha divertita. Vorrei anche dire che lo spunto è nato a seguito dell’idea proposta da G. per il suo esperimento di narrazione, che prevede l’osservazione della natura lenta della natura (giochi di parole che mi piacciono molto) e dei frutti che ne possono venire fuori. Gli esperimenti di contaminazione, per dirla alla L., sono appuntamenti che si ripetono dunque.
Ritorno sul progetto. A seguito di uno scambio avuto con Jepis, ho ricevuto poi una vera e propria “illuminazione”. Jepis mi ha suggerito che nel mio esperimento avrei potuto inserire una “bambola del tempo libero”.
Io in realtà volevo uscire fuori da quello che faccio quotidianamente, provando a cimentarmi in un esperimento nuovo. Ma mi sono resa conto di una cosa fondamentale. In effetti io ho realizzato e continuo a realizzare bambole sulla base di racconti che mi vengono affidati, e porto avanti una mia idea di manufatto narrativo in quello che sto cercando di far diventare un lavoro, ma non possiedo una bambola mia. E non la possiedo perchè lascio sempre che le commissioni altrui abbiano la precedenza. Negando ancora una volta del tempo da dedicare a me.
Da questa riflessione è nata la “mia” bambola del tempo libero. Ed in quell’aggettivo possessivo c’è tutta una presa di coscienza. E una presa di tempo. Di tempo per me.
Per prima cosa ho riflettuto sulle fasi previste per la realizzazione di una bambola, ed ho individuato molteplici punti, che mi hanno anche aiutata a riflettere su alcuni problemi di gestione di questo mio “lavoro” (che ancora pongo tra virgolette perchè attualmente non possiede le caratteristiche che dovrebbe avere). Eccoli:
1. La richiesta;
2. Le informazioni rilasciate;
3. La conferma;
4. La valutazione del progetto e l’indicazione di una data entro cui realizzarlo;
5. Il racconto;
6. Lo studio, l’approfondimento personale e l’elaborazione dell’idea;
7. La bozza della bambola;
8. La ricerca dei materiali e lo studio degli eventuali accostamenti;
9. La realizzazione materiale (della bambola, degli elementi grafici, della confezione, delle foto e del racconto);
10. La consegna;
11. La condivisione sui social.
Vedere tutti i punti elencati dinnanzi a me mi ha fatto prendere coscienza di quanto tutto questo possa essere “complesso”, o meglio richieda tempo. Informazione che attualmente non ho ancora espresso in maniera chiara.
Come ho già detto, desideravo da molto tempo realizzare una bambola che rappresentasse me stessa, per un’esigenza intrinseca, ed anche per poter avere la possibilità di comunicare al meglio il mio messaggio al riguardo. Grazie alla Piccola Scuola ho fissato una scadenza per me stessa. Andando direttamente al punto 4
delle fasi di realizzazione. Affrontare i punti 5 e 6 in questa occasione è stato più complesso delle altre, perchè ho dovuto impormi di ascoltare me stessa. Immaginavo sarebbe stato lo stesso per il punto 7, tuttavia mi sono sorpresa a delineare la bozza in maniera abbastanza scorrevole.
In genere, per le commissioni altrui, realizzo soltanto la parte superiore della bambola, e non la mostro ai richiedenti in quanto spesso i progetti possono assumere altre forme in corso d’opera. Tuttavia per questa occasione ho preferito ideare la bozza completa, per poter mostrare e dimostrare quello che accade nella mia mente quando sono alle prese con questo tipo di studio.
Per prima cosa mi sono interrogata sui connotati fisici.
Ho i capelli castani, lunghi ed un po’ mossi. Da piccola mia madre mi costringeva a dei caschetti che odiavo, ed anche da adolescente la gestione dei miei capelli è stata traumatica. Nulla di particolare, ero solo alle prese con i problemi di scarsissima autostima dell’età, ed influenzata dalle mode del momento di acconciarli nella maniera migliore possibile con piastre o arricciacapelli.
Tutto questo non faceva che rovinarli. Così ogni volta che ero costretta a tagliarli, ero anche costretta a rinunciare a parecchi centimetri, e questo per me era un grande dilemma.
Quando ho cominciato l’Università, ho cominciato questa mia “litania” del “non avere tempo”, così ho iniziato a lasciare che i capelli fossero liberi di essere come volevano e, quasi per ribellione a tutta quell’angoscia del passato, ho iniziato a limitare il mio appuntamento col parrucchiere a una volta all’anno. Ci rinuncio anche per le occasioni più importanti, e questo mi fa sentire un po’ “ribelle”. E mi piace. Insomma, tutto questo giro di parole per dire che la mia bambola doveva possedere questo tipo di capelli.
Come F., vivo un conflitto tra ciò che mi piacerebbe indossare e ciò che realmente indosso. Prediligo i pantaloni di colore scuro, taglio uomo. Ma mi piacerebbe poter indossare gonne lunghe e magari fiorate sia d’estate che d’inverno.
Per questo motivo ho chiesto l’aiuto della mia cara amica artista Nicoletta per poter rendere materiale un’idea che avevo in testa da tempo. Uno stand in legno, con annesse gruccette e con abiti colorati per la bambola, per fare in modo che almeno lei sia libera di esprimersi. L’ho disegnato a matita, immaginando le misure in proporzione alla bambola, e Nicoletta lo ha realizzato fedelmente al modo in cui lo desideravo. Il maglioncino color cipria della bambola l’ho realizzato con il materiale venuto fuori dalla rivisitazione di un mio abitino in maglia. Poichè non lo indossavo più, e poiché mi piace poter dare sempre una seconda chance agli oggetti, l’ho fatto diventare un maglioncino per me, e adesso utilizzo la parte restante del materiale per realizzare oggettini per le bambole (sciarpe, cappellini o, come in questo caso, maglioncini).
Un altro “pezzo forte” che si può notare è la sciarpa. Ne possiedo una simile da anni, alla quale sono molto affezionata. È di colore grigio e possiede delle perline nere e bianche sulle estremità, simili a quelle che ho cucito nella versione in miniatura. Anche in questo caso ho utilizzato del materiale venuto fuori da una sciarpa che non indossavo più. Vi state chiedendo perchè tutta questa importanza ad una sciarpa? Perchè semplicemente mi riscalda. La porto sempre con me, anche quando il tempo sembra dimostrare che non ce ne sarà assolutamente bisogno. E l’ho ritrovata sempre molto utile. Anzi, direi necessaria. La indossavo anche a lavoro, in ufficio. Ed anche in casa, specie se mi ritrovo ferma al pc per esempio, come in questo momento. È un caldo abbraccio.
Sto pensando alla domanda dell’articolo di Jepis.
“Gli oggetti raccontano storie?”. Si, ne possono raccontare tantissime.
Dipende dai significati che ne attribuiamo loro. La bambola avrà anche un cappellino nero. È un oggetto fondamentale, che nasce dall’ispirazione da uno vero che possiedo. Non ne indossavo mai. Poi cinque anni fa ho fatto esperienza di un vento fortissimo di un’isola che ho visitato e che mi sta molto a cuore. Appena arrivata lì, infatti, sono entrata in un negozio e, senza pretesa alcuna, ho acquistato il primo cappellino che mi è capitato sotto tiro.
Da lì mi sono resa conto di quanto fosse capace anche di tenere in caldo i pensieri. Da allora non me ne sono più separata.
Realizzerò anche un cappottino. Adoro le trame dei cappotti. Mi ricordano gli anni Sessanta/Settanta. È possibile avere nostalgia di un’epoca non vissuta? Non lo so, ma mi capita. Forse per i racconti di mia madre. Forse per qualcosa che ho letto oppure ho visto alla tv.
Ma da dove nasce tutta questa attenzione ai dettagli? Si tratta di un riflesso di vanità? Niente affatto. È la cura. La cura di quello che è più piccolo. Che non potrebbe avere voce in capitolo se qualcuno non lo nota, se qualcuno non lo racconta. Che però potrebbe sorprendere. Far sorridere. Affascinare.
Vi è mai capitato che qualcuno di vostra conoscenza riporti alla vostra memoria qualcosa che avete fatto o detto, che voi non ricordate affatto, ma di avere piacere che quella persona si sia soffermata proprio su quel gesto, su quel momento?
A me è capitato. E mi ha emozionato.
La bambola avrà anche uno zainetto, e per la realizzazione mi ispirerò ad uno reale che ho acquistato dopo essere diventata mamma. Gli zaini mi danno un grande senso di avventura, e possono contenere tante cose.
Io adesso in tutte queste cose che ho scritto mi sono sentita molto vicina ad alcuni dei compagni di corso.
A F., che quando ha parlato di sé qualche volta si è definita banale. Mi piacerebbe farle presente che spesso è con questi occhi che si appare a se stessi, ma dovremmo essere bravi a guardarci con parere meno soggettivo.
A L., che quando parla del suo conflitto tra il voler essere bambina e il dover diventare adulta, vorrei dire che c’è chi ha più di trent’anni e gioca ancora con le bambole.
Ad A., che ha temuto di essere pesante per le parole che ha scritto (vedi quanto mi sono dilungata io?!).
Volevo dire altre due cose.
La prima nasce ancora da uno spunto ricevuto da Jepis, in particolare da una sua domanda.
«Dove vivono le bambole di Sabrina?» mi ha chiesto.
La prima risposta che mi è venuta in mente è stata “In un cassetto”.
Ma le mie bambole desiderano viaggiare, e non ritrovarsi chiuse in qualche posto.
Tuttavia hanno anche bisogno di avere una casa. Così ho immaginato che per questo esperimento mi adopererò per fornire alla bambola un posto tutto suo, un luogo sicuro. Perchè credo ne abbia davvero bisogno.
La seconda è che le prime bambole che ho realizzato sono nate dando vita ad un progetto, in maniera inconsapevole. Erano destinate a viaggi, e a mete ben precise. Assumevano i connotati tipici del luogo che avrebbero visitato. Mi riferisco alle mie bambole nel mondo.
Da qualche anno le bambole hanno cominciato a fare esperienza di un viaggio differente, un viaggio interiore. E sono diventate “turiste del quotidiano”.
Ho ricevuto un bellissimo spunto dalla mia amica Marisa tempo fa che, durante una corrispondenza, mi ha salutato dicendomi “Allora, aspettiamo il tuo giro del mondo in ottanta bambole”.
Nei giorni successivi, questo pensiero ruotava nella mia testa. Così ho preso una decisione. Ho iniziato a numerare le mie bambole. E la mia è la numero 6. Possiede un sacchetto a corredo, che serve per proteggerla quando la porterò con me. Che sia per un esperienza quotidiana o per un viaggio.
La mia bambola del tempo libero è un manufatto narrativo che probabilmente resterà sempre in versione provvisoria. Perchè si ispirerà a me e ai miei momenti.
Rappresenterà i “tanti punti ancora da unire”, altrimenti, come ha scritto P., il percorso sarebbe finito qua.
Desidero dire un’ultima cosa, che è piuttosto un ringraziamento.
Per tanti anni ho avuto difficoltà nel trovare una definizione della parte di me che si dedica a questo lavoro. Grazie a questa prima parte di corso ho finalmente trovato una definizione: sono un’artigiana del racconto.
Grazie.